Coltivare le connessioni II

Coltivare le connessioni al giorno d’oggi sembra un’ ardua impresa. Le persone hanno sempre qualcosa di più importante da fare sempre e in qualunque momento. Non si ha più tempo per gli amici, per i figli o per leggere un libro. Tutto è visto e sentito come qualcosa da fare in un altro momento.

Vorrei citare alcune parti di un brano di “Come un romanzo” di Daniel Pennac. La lettura è il tema portante del libro, ma vi sono dei passaggi, come quello che riporto di seguito, che possono avere una valenza, a mio parere, universale e riferirsi anche alla possibilità o meno di coltivare le connessioni.

“Si, ma a quale dei miei impegni rubare quest’ora di lettura? Agli amici? Alla tivù? Agli spostamenti? Alle serate in famiglia? Ai compiti? Dove trovare il tempo di leggere? Grave problema. Che non esiste. Nel momento in cui mi pongo il problema del tempo per leggere, vuol dire che quel che manca è la voglia. Perchè a ben vedere, nessuno ha mai tempo di leggere. Nè piccoli, nè adolescenti, nè grandi. La vita è un perenne ostacolo alla lettura. (…) Il tempo per leggere è sempre tempo rubato. (Come il tempo per scrivere, d’altronde, o il tempro per amare.) Rubato a cosa? Diciamo, al dovere di vivere. (…) Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere. Se dovessimo considerare l’ amore tenendo conto dei nostri impegni, chi si arrischierebbe? Chi ha tempo di essere innamorato? Eppure, si è mai visto un innamorato non avere tempo per amare? Non ho mai avuto tempo per leggere, eppure nulla, mai, ha potuto impedirmi di finire un romanzo che mi piaceva. La lettura non ha niente a che fare con l’organizzazione del tempo sociale. La lettura è, come l’amore, un modo di essere.  La questione non è di sapere se ho o non ho tempo per leggere (tempo che nessuno d’altronde mi darà), ma se mi concedo o no la gioia di essere lettore.” (“Come un romanzo”, Daniel Pennac, p. 99-100,  Universale Economica Feltrinelli, Milano 2007, traduzione di Yasmina Melaouah).

What does it means to be connected

Nel suo articolo Stephen Downes parla molto chiaramente delle sette abitudini di persone altamente connesse. Riassumendo molto brevemente i punti principali dell’articolo, una persona si può definire altamente connessa se ha determinati comportamenti:

Reattività ai contenuti già presenti nel web: la creazione da parte del singolo dovrebbe partire in risposta a contenuti già presenti sul web, dovrebbe quindi essere una reazione a concetti precedentemente espressi.

Seguire il flusso: rispettare e arricchire le opinioni espresse sul Web evitando di andare per forza controcorrente.

Connettività: il collegamento on line è ormai alla base della comunicazione odierna e rimanere fuori da questo universo non è quasi più possibile.

Condivisione: l’importante è condividere quello che si ha con gli altri utenti connessi anche se sul momento non si ha niente in cambio.

RTFM: ossia leggi i manuali; se non capiamo una cosa o abbiamo un problema basta cercare nel web, le risposte sono lì a disposizione di tutti e noi, a nostra volta, possiamo arricchire queste risorse.

Cooperazione: nelle relazione face to face le persone collaborano per raggiungere un obiettivo comune. On line le persone cooperano, non si impongono ed esprimono le loro idee in maniera più libera.

Essere se stessi: le relazioni che si vanno a sviluppare on line non sono solo fredde e stupide, ma devono basarsi su emozioni; le persone anche se a distanza devono entrare in contatto empaticamente l’un con l’altro.

Naturalmente non presento quasi nessuna di queste caratteristiche. Il mio rapporto con la rete è ancora del tutto superficiale, non tendo ad essere reattiva, non ho tempo di essere connessa, non amo parlare di me e sopratutto non amo scrivere.  Il mio rapporto con il web  e con gli altri utenti rimane superficiale perchè si limita alla sola osservazione e lettura, allo scambio di mail, contenuti e a qualche visita su facebook.  Mi rendo conto che tutto è ancora troppo passivo da parte mia; ogni azione, ogni attività presuppone volontarietà dalla persona che la svolge e forse a me manca proprio la volontà di essere altamente connessa.

Cos’è il PDF?

Usato spesso involontariamente, il PDF (Documento in Formato Portabile) è stato creato per condividere qualsaisi file su qualsiasi computer. L’Adobe System crea il PDF circa qundici anni fa e da allora viene perfezionato costantemente. Utilizzare questo formato porta alla condivisione delle informazioni contenute nel documento. La sua lettura, creazione e stampa è possibile da parte di qualsiasi persona che utilizza Adobe Reader. Si possono creare indici, miniature, inserire filmati o link che rimandino ad altri testi. Naturalmente offre anche delle garanzie: in ogni documento l’autore può inserire una password che vieta la modifica del file, le persone che ricevono o scaricano il PDF possono, quindi, solo leggerlo e stamparlo.  E’ sempre giusto poter fornire delle garanzie di protezione, l’importante è non approfittarne…

Bound by Law

Bound by Law utilizza la classica formula del fumetto per affrontare il controverso problema del copyright e del fair use, ma lo fa sfruttando internet! E’ l’esempio lampante di come sia possibile un’integrazione tra “vecchio” e “nuovo” e di come deve essere sfruttata questa integrazione.

Il diritto d’autore nasce e cresce nei paesi anglosassoni. In italia il cammino è tortuoso. Ad oggi, ancora, manca una legislazione che sia al passo con i tempi. Il nostro diritto d’autore si rifà ancora ad una legge del 1941. Chiramente è stato modificato, grazie alla spinta delle direttive europee, ma sostanzialmente il testo di riferimento è quello di una legge di sessant’anni fa. Come si dice? Gli Ultimi saranno i primi!

Proteggere “una particolare espressione del lavoro intellettuale” è fondamentale, ma lo è anche la possibilità di renderla disponibile al pubblico. Le limitazioni e gli interessi economici i gioco sono e saranno sempre troppi, ma in fondo la cultura e la possibilità di diffonderla non sono fattori così importanti!

Ah dimenticavo…

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Primo Blogoincarico

Nonostante il mondo e la realtà vadano avanti costantemente, l’insegnamento, le materie e l’università stessa sembrano ancorati ad un passato molto lontano. La lezione in aula rimane ancora, troppo spesso, l’unica forma di insegnamento possibile.

Durante la prima fase del mio ciclo di studi ho appreso delle “definizioni base”, subito dopo la laurea ho deciso di iscrivermi alla specialistica di Comunicazione Strategica presso la facoltà di Scienze Politiche, sperando di riuscire a mettere in pratica tutte le nozioni acquisite fino a quel momento. Tutto in quella facoltà, però, era inserito in schemi rigidi: le nozioni venivano ripetute al’infinito, l’impostazione della lezione in aula era sempre la stessa, il linguaggio usato da insegnanti e studenti artificioso, non naturale; e la tecnologia? beh ne parlavamo spesso…sempre, ma non abbiamo fatto niente, MAI. Dopo un anno di corsi, tre esami sostenuti ed un piano di studi che non prevedeva neanche uno stage ho deciso di cambiare corso di laurea.

Quello che molti insegnanti sembrano ancora non aver capito è che la lezione in presenza può fornire allo studente formule di apprendimento riconoscibili e molte volte anche efficaci, ma questa tipologia di insegnamento è ormai insufficiente. La formazione oggi giorno DEVE essere integrata con le nuove tecnologie. Il contesto e la realtà globale in cui viviamo presuppongono nuove forme di conoscenza e di apprendimento; gli studenti, soprattuto di un corso di laurea magistrale, sono ormai discenti adulti. Gli insegnanti e l’univesità devono continuare a fornire conoscenze teoriche comuni a tutti gli studenti, ma devono dare anche la possibilità al singolo di poter tracciare un percorso autonomo di apprendimento. La tecnologia è una grande risorsa che l’università dovrà riuscire a sfruttare per poter elaborare nuove forme di insegnamento efficaci per il contesto globale in cui viviamo.